lunedì 30 marzo 2009

Gli accordi contrattuali

Il sistema delle tre A viene completato dagli accordi contrattuali, disciplinati dall’art. 8 quinquies del d.lgs. 229 del 1999. L’ambito di applicazione di tali accordi e l’individuazione dei soggetti interessati, ai sensi del comma 1, deve essere definita dalle Regioni.

Quanto all’ambito di applicazione degli accordi:
  1. devono essere individuate le responsabilità riservate alla Regione e quelle attribuite alle Aziende sanitarie locali nella definizione degli accordi contrattuali e nella verifica del loro rispetto;
  2. si devono stabilire gli indirizzi per la formulazione dei programmi delle strutture interessate, con l’indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, seconde lo linee della programmazione regionale e nel rispetto delle priorità indicate nel piano sanitario regionale;
  3. deve essere determinato il piano delle attività relative alle alte specialità ed ai servizi di emergenza;
  4. devono stabilirsi i criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture, ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti rispetto al programma preventivo concordato.
In particolare, con quest’ultima previsione, si introduce il meccanismo della regressione tariffaria, attribuendo alle Regioni particolari poteri circa l’individuazione e la disciplina dei meccanismi di contenimento della spesa, per fronteggiare i casi in cui le strutture pubbliche e private accreditate eroghino prestazioni in misura superiore al tetto di spesa determinato unilateralmente nei contratti. Tale meccanismo è stato giudicato positivamente dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato(1) e si deve ritenere applicabile sia alle strutture pubbliche che a quelle private, che nel nuovo sistema dovrebbero trovarsi su un piano di sostanziale parità.
Anche la giurisprudenza è concorde nell’affermare che l’importanza dell’obiettivo della riduzione della spesa sanitaria è tale da giustificare anche la regressione del rimborso tariffario per le prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo; tale meccanismo, costituendo espressione del potere autoritativo affidato alle regioni in materia, trova giustificazione concorrente nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala e che effettuino opportune programmazioni delle rispettive attività e non deve essere accompagnato da specifica motivazione in ordine all’entità della percentuale in concreto applicata(2)
. Il Consiglio di Stato, Sezione V, nella sentenza n. 3239 del 29 maggio 2006(3) precisa che tale meccanismo vale anche se non contemplato in modo espresso da alcuna legge, purché non si applichi a rapporti esauriti o prestazioni già erogate.
Tornando all’individuazione dei soggetti, la scelta potrà ricadere o sulle Regioni stesse o sulle Asl (come ad esempio la Puglia). Se verrà individuata la Regione si otterrà una separazione più netta tra finanziatore e titolare del servizio da un lato e gestore del servizio dall’altro. Nel caso in cui venisse individuata la Asl si verificherebbe la strana situazione per cui un soggetto che non è titolare del servizio stipula quel accordo che rappresenta, insieme all’accreditamento, l’elemento essenziale per creare il nesso organizzativo tra titolare del servizio ed erogatore dello stesso.
Tale circostanza però a parere di chi scrive non presenta profili di illegittimità ed è inquadrabile nella fattispecie della delegazione amministrativa al compimento di atti. Si tratterebbe di una delega tipica ed essendo i due soggetti del rapporto appartenenti allo stesso Ente potrebbe qualificarsi come interorganica.
Le parti dovranno comunque provvedere alla stipulazione anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello locale, dunque secondo procedure stabilite nell’ottica di una concorrenza regolata(4)
.
Quanto al contenuto degli accordi, essi hanno la funzione di stabilire, tra le Regioni e le aziende sanitarie locali da un lato e le strutture pubbliche, equiparate e private dall’altro, il volume, la qualità e la remunerazione delle prestazioni che le stesse potranno erogare in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale.
In particolare tali accordi indicano:
  1. gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi;
  2. il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima Azienda sanitaria locale si impegnano ad assicurare;
  3. i requisiti e le modalità del servizio da rendere;
  4. il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, risultante dall’applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo;
  5. il debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti.                           
Ai fini della determinazione del finanziamento globale delle singole strutture dovranno essere tenute presenti le funzioni assistenziali e le attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento.



(1) Autorità garante della concorrenza e del mercato, parere del 26 giugno 1998.(2) cfr. Corte Costituzionale, 6 luglio 2007, n. 257, su http://www.giurcost.it/(3) Consiglio di Stato, Sezione V, 29 maggio 2006, n. 3239, su http://www.giustizia-amministrativa.it/(4) In questo senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2003, n. 499, in Sanità pubblica e privata, 2003, pagg. 571 e segg.

sabato 28 marzo 2009

L'accreditamento istituzionale

L’accreditamento istituzionale, disciplinato dall’art. 8 quater, è quel meccanismo attraverso il quale il Servizio sanitario nazionale seleziona le strutture pubbliche e private, erogatrici di prestazioni, nell’ambito delle quali potrà esplicarsi la libera scelta da parte dell’utente. L’atto di accreditamento, ai sensi del comma 1, viene rilasciato dalla Regione, nuovo titolare del servizio, alle strutture autorizzate, pubbliche o private, che ne facciano richiesta.
Nel nuovo sistema in cui la Asl non è più titolare del servizio si può ritenere che la verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla legge e il conseguente accreditamento debbano essere operati anche con riferimento ai presidi interni delle Asl e in generale alle strutture pubbliche. Esse infatti finiscono con l’essere soggetti diversi dal titolare del servizio, che necessitano di un atto che permetta l’inserimento degli stessi all’interno del Servizio sanitario nazionale.
Quanto ai requisiti per l’ottenimento dell’accreditamento, la condizione di struttura autorizzata è necessaria ma non sufficiente. Con le autorizzazioni si è accertata l’idoneità della struttura ad espletare attività e ad erogare prestazioni sanitarie; con l’atto di accreditamento si accerta l’idoneità ad essere potenziale erogatore per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale.
L’accreditamento è subordinato alla verifica di due diversi ed ulteriori presupposti.
Si dovrà innanzitutto verificare se la struttura richiedente risponda agli ulteriori requisiti di qualificazione previsti dalla normativa. Ai sensi del comma 3 dell’art. 8 quater, lett. A, si prevede espressamente che con atto di indirizzo e coordinamento verranno definiti i criteri generali uniformi per, tra l’altro, la definizione dei requisiti ulteriori per l’esercizio delle attività sanitarie per conto del servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti, nonché la verifica periodica di tali attività.
Il comma 4 contiene indicazioni molto precise sui criteri che tale atto di indirizzo e coordinamento dovrà osservare. Viene fatto espresso riferimento a requisiti di carattere prevalentemente organizzativo, che devono tendere al raggiungimento della garanzia dell’uguaglianza tra tutte le strutture accreditate, avendo riguardo al rispetto delle condizioni di incompatibilità previste dalla vigente normativa nel rapporto di lavoro con il personale comunque impegnato in tutte le strutture; alle dotazione strumentali e tecnologiche delle strutture stesse.
La verifica dovrà attenere anche alla valutazione della funzionalità dell’accreditamento agli indirizzi della programmazione regionale. Al fine di individuare i criteri per tale verifica, la Regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate nel piano sanitario regionale. In questo senso, sarà l’atto di indirizzo e coordinamento di cui sopra che, secondo la previsione di cui alla lett. B del comma 3 dell’art. 8 quater, di cui si tratta, dovrà in primo luogo definire i criteri generali uniformi per la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla funzionalità della programmazione regionale(1)
. In tale determinazione si dovrà includere anche l’indicazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un’efficace competizione tra le strutture accreditate. Il d.lgs n. 229 prevede, infatti, che l’accesso di nuovi fornitori accreditati sia subordinato alla determinazione da parte della Regione di quello che è l’effettivo fabbisogno di assistenza, non assicurato dai soggetti erogatori già accreditati, e che eventuali superamenti del fabbisogno determinato dovranno comunque essere regolamentati in sede di accordi contrattuali. Dispongono in questo senso i commi 7 e 8 dell’art. 8 quater, in base ai quali, rispettivamente, nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture, o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei risultati.
L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso. Inoltre, in presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno determinato in base ai criteri citati, le Regioni e le Unità sanitarie locali, per mezzo degli accordi contrattuali, devono porre a carico del Servizio sanitario nazionale un volume di attività non superiore a quello previsto negli indirizzi della programmazione nazionale. In caso di superamento di questo limite, e in mancanza di interventi integrativi, si dovrà procedere alla revoca dell’accreditamento della capacità produttiva in eccesso, in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato dalle strutture pubbliche ed equiparate, dalla strutture private non lucrative e dalle strutture private lucrative.
Dallo stretto legame che esiste tra la programmazione e la pianificazione e il nuovo atto di accreditamento, deriva la natura discrezionale del nuovo atto di accreditamento, cui non corrisponde un diritto dell’erogatore richiedente ad ottenerlo.
Recentemente in tale senso anche il Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche“V. Bachelet” della Libera Università di studi sociali - Luiss “Guido Carli” che afferma: “La necessaria conformità alla programmazione regionale consente di ritenere che non sia configurabile un diritto soggettivo all’accreditamento, ma soltanto un interesse legittimo dei soggetti che lo richiedono, poiché il relativo riconoscimento è oggetto del potere discrezionale della regione. In particolare, la verifica della funzionalità rispetto alla programmazione nazionale e regionale, è compiuta dalla regione previa definizione del fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonché gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all’assistenza integrativa”(2)
.
A sostegno di tale tesi una vasta produzione giurisprudenziale, tra le molte pronunce il TAR Campania, Salerno, Sez. I, 11 aprile 2003, n. 271 per cui:” … l’instaurazione del nesso organizzativo di servizio pubblico con i soggetti erogatori e la quantificazione delle prestazioni erogabili da ciascuno, non dipende più, come negli originari e disattesi auspici del legislatore della prima riforma, da atti di ammissione a contenuto vincolato, ma sono il frutto di valutazioni programmatiche ed organizzative discrezionali dell’Amministrazione titolare del pubblico servizio”(3)
.
Il 29 gennaio 2008, tale orientamento viene ribadito dal Consiglio di Stato(4)
per cui: “… il d.p.r. 14 gennaio 1997 ( atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali tecnologici e organizzativi per l’esercizio di attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private – Gazzetta Ufficiale 20 febbraio 1997 n. 42 supp.ord.) ha successivamente individuato in modo preciso la funzione teleologica dell’accreditamento la quale deve risultare «funzionale alle scelte di programmazione regionale».… A tale stregua, deve ritenersi che l’accreditamento non debba più essere considerato un diritto, posto che il d.p.r. citato ha definito un assetto caratterizzato da limiti in ordine all’adozione dei provvedimenti richiesti per il passaggio all’accreditamento, limiti riconducibili ad un’accresciuta capacità discrezionale dell’amministrazione, capacità che, a sua volta, non è più esclusivamente fondata su mere argomentazioni tecniche (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 maggio 2006, n. 8). Infatti, la regione — tenuta ad individuare, per il tramite della programmazione, la quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto di spesa massimo — può accreditare nuove strutture solo se sussiste un effettivo fabbisogno assistenziale (art. 8 quater, d.lgs. n. 502 del 1992 introdotto dall’art. 4, comma 8, d.lgs 19 giugno 1999 n. 229). Quindi, l’accreditamento assume i caratteri tipici di un atto attributivo di compiti pubblici e di natura discrezionale in quanto manifestazione di un potere che trova i suoi presupposti logico-giuridici, oltre che nell’effettivo fabbisogno assistenziale, quale risulta in concreto dal disposto del piano sanitario regionale, anche nell’ineludibile esigenza di controllo della spesa sanitaria nazionale”.
La struttura sarà, infatti, assoggettata al giudizio discrezionale della Regione che valuterà, in primis l’idoneità della struttura a rispettare le prescrizioni regionali e la garanzia dei livelli essenziali e uniformi, quindi procederà all’accertamento della sua capacità effettiva di assicurare l’erogazione delle prestazioni nel rispetto di tali esigenze. Si crea dunque in questo modo un sistema aperto si all’ingresso di soggetti diversi, ma solo limitatamente, in quanto può reggere solo un determinato numero di operatori – erogatori, individuato sulla base di quanto stabilito a livelli di programmazione.

Quanto alle verifiche successive, esse consisteranno semplicemente nella valutazione relativa al fatto che la struttura abbia o meno svolto positivamente la sua attività e abbia raggiunto determinati risultati.
I requisiti per ottenere l’accreditamento pertanto hanno carattere dinamico, in quanto esigono un aggiornamento continuo in relazione all’evoluzione tecnologica e professionale.

Essi devono:

  1. essere correlati ai risultati finali dell’assistenza, in ordine all’efficacia e alla sicurezza del paziente;
  2. comprendere elementi che interessano il sistema sanitario nazionale, in particolare accessibilità e appropriatezza delle prestazioni;
  3. includere la programmazione e la realizzazione di cicli di formazione del personale sulla qualità;
  4. essere adeguatamente pubblicizzati tra gli operatori e le strutture; riguardare i diversi aspetti della qualità, sia in termini di gradimento del cittadino sia in termini di qualità tecnico – professionale e di qualità organizzativo – gestionale.



    (1) Ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 2, maggio 2000, n. 2156
    (2) Luiss “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachelet”, Libro bianco sui principi fondamentali del servizio sanitario nazionale, 2008, pag. 83.
    (3) TAR Campania, Salerno, Sez. I, 11 aprile 2003, n. 271 in Foro Amministrativo, TAR, 2003, pag. 1352
    (4) Consiglio di Stato, Sezione V, 29 gennaio 2008, n.1988, su http://www.giustizia-amministrativa.it/

venerdì 27 marzo 2009

Nuova disciplina dell'accreditamento

Il 19 giugno 1999 viene emanato il Decreto Legislativo n. 229, titolato "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419"(1). Tra le importanti innovazioni apportate dal decreto analizzeremo quelle relative al tema di questo blog, quindi, ai rapporti tra organizzazione pubblica ed erogatori privati.
Del vecchio art. 8 del d.lgs. n. 502, modificato dal d.lgs. n. 517 che dettava le norme in materia di accreditamento e di rapporti con le strutture sanitarie private, viene mantenuto solo il comma 4, che riguarda l’individuazione con atto di indirizzo e coordinamento dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private.
I vecchi commi 5, 6 e 7 vengono abrogati e la disciplina che in essi era contenuta viene interamente riscritta nei nuovi articoli 8 bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies.
Tali articoli dispongono rispettivamente in tema di autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali; autorizzazioni alla realizzazione di strutture e all’esercizio di attività sanitarie e socio sanitarie; accreditamento istituzionale; accordi contrattuali; remunerazione; prestazioni erogate in forma indiretta; controlli.
Ai sensi dell’art. 8 bis le Regioni sono individuate titolari del servizio(2)
; infatti sono queste che devono assicurare l’erogazione delle prestazioni quindi i livelli essenziali di assistenza. Ne consegue che l’Azienda Usl resta un semplice erogatore, insieme ad altri soggetti, tutti espressamente individuati e posti, almeno in teoria, sullo stesso piano:
° Presidi gestiti direttamente dalle Aziende Unità sanitarie locali;
° Aziende ospedaliere;
° Aziende universitarie;
° Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico;
° Soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8 quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies.
L’articolo ribadisce, dopo, che i cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell’ambito di tutti i soggetti accreditati con i quali siano stati definiti accordi contrattuali, il che consente di collocare sullo stesso piano strutture pubbliche e strutture private.
L’articolo 8 del d.lgs. 229, inoltre, anticipa il sistema dell’accreditamento, disciplinato negli articoli successivi. Infatti prevede che per poter esercitare attività sanitarie sono necessarie due autorizzazioni: l’autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture e l’autorizzazione all’esercizio di attività socio sanitarie. La disciplina delle stesse è contenuta nell’art. 8 ter. Quindi puntualizza che l’esercizio delle summenzionate attività è subordinato altresì all’accreditamento istituzionale, di cui all’art. 8 quater, e agli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies, allorquando si sia alla presenza rispettivamente di esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale e a carico del Servizio sanitario nazionale. Sostanzialmente, delinea i tre passaggi dell’autorizzazione, dell’accreditamento e degli accordi contrattuali, che nel sistema cosiddetto delle tre “A”, permetteranno ad una struttura di erogare prestazione per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale(3)
.
Sulle autorizzazioni interviene in maniera specifica il successivo art. 8 ter. L’articolo disciplina, innanzitutto, quanto accennato dall’articolo precedente(4)
. Il primo tipo di autorizzazione costituisce una novità nel nostro ordinamento, il quale, fino a quel momento, non collocava barriere quantitative in ordine alla realizzazione di strutture sanitarie. Tale atto è necessario per la costruzione di nuove strutture, l’adattamento delle strutture già esistenti e la loro diversa utilizzazione, per l’ampliamento o la trasformazione, nonché il trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate. Oggetto di tali autorizzazioni, ai sensi della seconda parte del comma 1, sono:
°le strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti;
°le strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale;
°le strutture sanitarie e socio sanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale.
In particolare per procedere a tali attività, ai sensi del comma 3, il Comune prima di emanare i provvedimenti di propria competenza in materia edilizia, deve anche acquisire la verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione. Tale verifica viene effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale. Notevoli limitazioni derivano dall’imposizione di questo tipo di autorizzazione. Da un lato tale autorizzazione potrebbe da un certo punto di vista apparire quanto meno eccessivamente limitante, soprattutto in considerazione del fatto che si è in presenza di strutture che non necessariamente andranno ad incidere sul Servizio sanitario nazionale(5)
. Inoltre, potrebbe essere oggetto di possibili rilievi di illegittimità costituzionale, in considerazione del fatto che si ha una compressione della libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 della Costituzione, e si opera una programmazione dei poteri comunali non con atti programmatori generali ma con singoli provvedimenti(6). Una limitazione che incide già sulla prima fase di un procedimento, inevitabilmente produce effetti anche su quelle successive. Il secondo tipo di autorizzazione, invece, quella per l’esercizio, è sempre stata contemplata nel nostro ordinamento. Essa, ai sensi del nuovo art. 8 ter, si applica ai quattro tipi di organizzazioni sanitarie già contemplati in ordine alla autorizzazione alla realizzazione. Vale a dire: gli studi medici di base, gli studi medici complessi, le strutture sanitarie, le strutture socio sanitarie.
Il nuovo sistema sembra dar vita ad un vero e proprio mutamento della natura dell’atto di autorizzazione. Infatti, l’autorizzazione che in base alla normativa precedente finiva per essere sostanzialmente un atto vincolato, che doveva necessariamente essere emesso in presenza dei requisiti che a tal fine erano stati previsti dalla legge. Nel nuovo sistema sembra assumere natura in qualche modo discrezionale, subordinata com’è da un lato, al possesso di specifici requisiti di carattere essenzialmente tecnico, ma dall’altro anche alla verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione, che viene effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale. Oltre a questo, l’ultimo comma dell’articolo 8 ter dispone nel senso che saranno le Regioni a determinare le modalità ed i termini per la richiesta e l’eventuale rilascio dell’autorizzazione alla costruzione di strutture e all’autorizzazione all’esercizio di attività socio sanitarie, prevedendo la possibilità del riesame dell’istanza, in caso di esito negativo, o di prescrizioni contestate al soggetto richiedente. Inoltre, le Regioni stesse determineranno gli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacità produttiva, definendo idonee procedure per selezionare i nuovi soggetti eventualmente interessati.
Nella nuova disciplina, quindi, assume posizione di centralità la programmazione sanitaria. Essa costituisce un vero e proprio “limite esterno” alle attività sanitarie svolte nell’ambito del Ssn, infatti, l’autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie, l’accreditamento istituzionale e la stipula degli accordi contrattuali con i soggetti erogatori, vengono commisurati, rispettivamente, al fabbisogno complessivo sul territorio di riferimento attraverso una preventiva verifica di compatibilità da parte della regione, al fabbisogno di assistenza definito in sede di pianificazione sanitaria regionale ed, infine, al fabbisogno previsto dagli indirizzi della programmazione nazionale(7)
.
Nel 1999 le regioni Puglia e Lombardia, con alcuni ricorsi, sollevarono questioni di legittimità costituzionale avanzando numerose censure aventi ad oggetto, tra gli altri, l’art. 8 del d.lgs. n. 229 del 1999, eccependo, tra l’altro, l’illegittimità delle norme che subordinano la realizzazione delle strutture sanitarie e l’esercizio delle attività sanitarie all’autorizzazione prevista dall’art. 8-ter, nonché di quelle che (in particolare l’art. 8-bis, comma 3, e l’art. 8-ter, commi 4 e 5) ne regolamentano i requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi, stabiliti con modalità che violerebbero principi e criteri direttivi della legge-delega. In particolare, in contrasto con la legge delega sarebbero: l’art. 8-quater, del d.lgs. n. 502 del 1992, in quanto recherebbe una disciplina in materia di accreditamento penalizzante delle strutture private; l’art. 8-quinquies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, in materia di accordi contrattuali, che non rinverrebbe fondamento nella legge-delega e violerebbe le competenze regionali nella materia sanitaria, così come la disciplina delle remunerazione delle prestazioni (art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1998), mentre l’art. 8-septies del d.lgs. n. 502 del 1992, riguardante l’assistenza indiretta, sarebbe stato emanato in mancanza di delega.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 510 del 20 novembre 2002(8)
dispose la riunione dei giudizi con quelli promossi dalla Regione Veneto e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, in quanto: i ricorsi sollevano questioni di legittimità costituzionale che hanno ad oggetto, in larga parte, le stesse norme e in riferimento a profili e parametri costituzionali sostanzialmente coincidenti; quindi li dichiarò inammissibili affermando: “In definitiva, nella vicenda in esame, risulta evidente la sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti, poiché, da un lato, fino alla data di entrata in vigore della legge di modifica del Titolo V della Costituzione, le norme statali impugnate non hanno prodotto alcun effetto invasivo della sfera di attribuzioni regionali, mentre, dall'altro lato, proprio a partire da tale data le medesime norme possono essere sostituite, nei limiti ovviamente delle rispettive competenze, da un'apposita legislazione regionale”.


(1) Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 1999 - Supplemento Ordinario n. 132
(2) E’ stato accolto in tal modo uno dei rilievi che erano stati formulati dall’Autorità
Garante della concorrenza con la segnalazione n. 145 del 1998
(3) Alcuni autori scindono la fase dell’autorizzazione in due parti e definiscono il sistema come “della quattro A”
(4) Non è stata quindi tenuta in considerazione la preoccupazione in ordine alla duplicazione dei modelli autorizzatori espressa dall’Autorità garante della concorrenza con la segnalazione n. 145 del 1998
(5) In questo senso R. BALMA, G. CLERICO, L’accreditamento in sanità, in I servizi sanitari in Italia – 2000, a cura di G. FIORENTINI, Bologna,
Il Mulino, pagg. 239 e segg
(6) C. CORBETTA, La sanità privata nell’organizzazione amministrativa dei servizi sanitari, 2004,
Maggioli Editore, pag. 196
(7) 
Luiss “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachelet”, Libro bianco sui principi fondamentali del servizio sanitario nazionale, 2008, pagg. 45 e segg.
(8) Corte Costituzionale, 20 novembre 2002, n. 510, su
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lunedì 23 marzo 2009

Autorizzazione e Accreditamento

La vita del “diritto all’accreditamento” è stata breve. E' durata circa un anno, perché sul tema ben presto è intervenuto il d.P.R 14 gennaio 1997(1). Si trattava dell’atto di indirizzo e coordinamento espressamente richiesto dall’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 per l’individuazione dei requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi necessari per le strutture sanitarie, pubbliche e private, al fine di ottenere l’autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie. Con lo stesso sono stati approvati i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private ed è stato disposto che le regioni determinino gli standards di qualità che costituiscono requisiti ulteriori per l'accreditamento di strutture pubbliche e private in possesso dei requisiti minimi per l'autorizzazione.
L’accreditamento, di conseguenza, è diventato un quid pluris rispetto all’autorizzazione. I requisiti minimi per l’autorizzazione sono indicati nell’allegato facente parte integrante del decreto. Essi attengono essenzialmente alla politica, agli obiettivi, alla qualità, alla struttura organizzativa. I requisiti ulteriori dovranno essere definiti dalle Regioni con l’individuazione di specifici standard di qualità necessari per l’ottenimento dell’accreditamento da parte delle strutture, sia pubbliche che private, in possesso dei requisiti minimi per l’autorizzazione di cui all’art. 1. La Regione nell’elaborare i requisiti necessari per l’accreditamento dovrà osservare quattro criteri, elencati nel decreto stesso.

1) la funzionalità dell’accreditamento in relazione alle scelte di programmazione regionale.
2) l’unicità del regime di accreditamento delle strutture, cioè deve avere come fine ultimo la garanzia della qualità delle prestazioni e non deve portare ad una discriminazione tra soggetto pubblico e soggetto privato.
3) l’unicità degli standard di dotazione rispetto alla tipologia delle prestazioni e alla classe delle strutture, quindi il necessario rispetto del livello qualitativo e quantitativo delle dotazioni strumentali, tecnologiche e amministrative correlate alla tipologia delle prestazioni erogabili.
4) Il risultato positivo che le strutture devono presentare rispetto al controllo di qualità.

E’ dichiarata la non sussistenza di un vero e proprio diritto all’accreditamento, infatti, l’art. 2 comma 7 afferma che la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le Aziende e per gli Enti del Ssn di corrispondere la remunerazione per le prestazioni dallo stesso erogate, ma solo uno status di potenziale soggetto accreditato, sulla base del quale il soggetto titolare del servizio valuterà se ed in quanto servirsi delle prestazioni dello stesso.
In merito in Consiglio di Stato(
2) afferma:” il d.p.r. 14 gennaio 1997 ha individuato in modo preciso la funzione teleologica dell’accreditamento la quale deve risultare «funzionale alle scelte di programmazione regionale». A tale stregua, deve ritenersi che l’accreditamento non debba più essere considerato un diritto, posto che il d.p.r. citato ha definito un assetto caratterizzato da limiti in ordine all’adozione dei provvedimenti richiesti per il passaggio all’accreditamento, limiti riconducibili ad un’accresciuta capacità discrezionale dell’amministrazione, capacità che, a sua volta, non è più esclusivamente fondata su mere argomentazioni tecniche”.Si assiste in questa fase anche al passaggio dal sistema dell’accreditamento provvisorio a quello dell’accreditamento definitivo. Ai sensi dell’art. 6 comma 6, legge 30 dicembre 1994, n. 724, il regime di accreditamento provvisorio delle strutture sanitarie private, opera automaticamente per tutte le strutture che risultano già convenzionate alla data del 1 gennaio 1993, limitatamente al biennio 1995 – 1996; successivamente a seguito dell’emanazione del d.P.R. 14 gennaio 1997, entra in vigore il regime definitivo, con conseguente possibilità di accesso per tutte le strutture sanitarie pubbliche e private in possesso dei requisiti previsti.

 
(1) d.p.r. 14 gennaio 1997 – Gazzetta Ufficiale 20 febbraio 1997 n. 42 supp.ord.
(2) Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 maggio 2006, n. 8

Il diritto all’accreditamento.

La natura di diritto dell’istituto dell’accreditamento, già ipotizzata nel sistema del d.lgs. 517/93, ha trovato la sua prima conferma da parte dello stesso legislatore con la legge 23 dicembre 1994 n. 724(1). L’art. 6 comma 6 affermava principi di grande importanza: libera scelta da parte dell’assistito, diritto all’accreditamento, accreditamento transitorio. Esso testualmente recitava “La facoltà di libera scelta da parte dell'assistito si esercita nei confronti di tutte le strutture ed i professionisti accreditati dal servizio sanitario nazionale in quanto risultino effettivamente in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e accettino il sistema della remunerazione a prestazione. Fermo restando il diritto all'accreditamento delle strutture in possesso dei requisiti di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, per il biennio 1995-1996 (accreditamento provvisorio) l'accreditamento opera comunque nei confronti dei soggetti convenzionali e dei soggetti eroganti prestazioni di alta specialità in regime di assistenza indiretta regolata da leggi regionali alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 502 del 1992, che accettino il sistema della remunerazione a prestazione sulla base delle citate tariffe”.
Quindi, alla luce dell’articolo 6, comma 6, della n. 724/1994, Legge Finanziaria 1995, per accreditamento si intendeva una “omologazione ad esercitare che poteva essere acquisita se la struttura avesse disposto, effettivamente, di dotazioni strumentali tecniche e professionali corrispondenti ai criteri definiti a livello nazionale”(2)
. Dalla sussistenza della libertà di scelta e di un diritto all’accreditamento, discendeva l’esistenza di una parificazione tra strutture pubbliche e private. Il comma 7 dell’art. 6 eliminava dal comma 5 dall’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, come modificato dal d.lgs. n. 517, l’indicazione per cui le istituzioni sanitarie private erano si inquadrate nel Servizio sanitario ma solo sulla base di criteri di integrazione con il servizio pubblico. L’abbandono del concetto di integrazione voleva portare ad una vera e propria parificazione tra struttura pubblica e privata a fronte della Azienda Usl che non era più erogatrice diretta delle prestazioni, ma era il soggetto che provvedeva alle esigenze degli utenti attraverso i propri presidi, pubblici e privati, tutti collocati sullo stesso piano.
Anche la giurisprudenza, in quegli anni, e precisamente la Corte costituzionale ipotizzava l’esistenza di un diritto all’accreditamento. Le Regioni Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia avevano, infatti, proposto questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 6 comma 6 della legge 724 del 1994. Esse sostenevano da un lato che tale norma, stabilendo il diritto all’accreditamento delle strutture in possesso dei requisiti tecnici previsti dalla legge, avrebbe determinato un utilizzo incompleto delle strutture pubbliche; dall’altro che l’allargamento del numero degli erogatori per conto del Ssn avrebbe portato ad una dilatazione della spesa sanitaria, dovuta ai costi del mantenimento delle strutture sanitarie pubbliche e a quelli derivanti dalle prestazioni degli erogatori privati.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 416 del 28 luglio 1995(3)
dichiarava la manifesta infondatezza della questione e la conseguente legittimità della norma, offrendo, inoltre, un’importantissima definizione dell’accreditamento delle strutture sanitarie come: il riconoscimento ad opera delle Regioni, del possesso, in capo ad organismi sanitari di cura, di specifici requisiti – c.d. standard di qualificazione – che si risolve nell’iscrizione in un elenco al quale gli utenti delle prestazioni sanitarie possono attingere liberamente.

 
(1) Gazzetta Ufficiale n. 304 Suppl.Ord del 30/12/1994
(2) CALANNI R.“Accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e tetti di spesa tra libertà di scelta e diritto di iniziativa economica - brevi riflessioni.” Ambiente e Diritto 2004.
(3) Corte Costituzionale 28 luglio 1995 n. 416, in Cons. Stato, 1995, II, pag. 1331

La nascita dell’accreditamento

Il d.lgs. n. 517 del 1993 c.d. decreto Garavaglia(1) apportò una serie di importanti modifiche su tutto il testo del d.lgs. 502 del 1992. Esso ribadiva la competenza delle Regioni in materia di autorizzazioni e vigilanza sulle strutture erogatrici di prestazioni sanitarie; confermava altresì la necessità di emanare un atto di indirizzo e coordinamento che doveva definire i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicità dei controlli per la verifica della permanenza di suddetti requisiti. Si continuava a prevedere che sarebbe stata l’Azienda Usl a provvedere all’erogazione delle prestazioni sanitarie avvalendosi delle istituzioni sanitarie pubbliche e private e si continuava a prevedere che i rapporti tra le Asl e i soggetti erogatori erano fondati sulla corresponsione di un corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa e si ribadiva il principio della facoltà di libera scelta dell’utente dietro presentazione della prescrizione medica.
Si confermava, come nel d.lgs 502, che i precedenti rapporti fondati sul regime del convenzionamento sarebbero dovuti cessare ma invece di lasciare indefinita la qualificazione e la regolamentazione dei nuovi rapporti si affermava che questi si sarebbero fondati sul nuovo criterio dell’accreditamento delle istituzioni. Con tale concetto ci si riferiva in via generale a quel meccanismo attraverso il quale il Ssn poteva selezionare le strutture pubbliche e private, erogatrici di prestazioni, nell’ambito delle quali poteva esprimersi la libertà di scelta da parte dell’utente. Il legislatore aveva previsto che gli altri due elementi qualificanti il nuovo rapporto erano costituiti dalle modalità di pagamento a prestazione e dalla adozione di sistemi di verifica della qualità delle prestazioni erogate. Nessun riferimento espresso era fatto alla necessità di pianificazione, ovvero alla subordinazione della possibilità di accreditamento a quanto stabilito discrezionalmente in quella sede dalle pubbliche Amministrazioni competenti. Questo sarebbe stato a significare che tutti i soggetti che erano ritenuti in possesso dei requisiti tecnici specifici, valutati secondo quanto previsto dalle disposizioni di legge, potevano, o meglio dovevano essere accreditati ed entrare a far parte del sistema del Ssn, con l’ulteriore obbligo di accettare il sistema tariffario e di adottare un sistema di verifica e revisione delle attività svolte e delle prestazioni erogate.

Da tali previsioni discendevano una serie di importanti conseguenze:
L’atto di accreditamento era configurato come un atto sostanzialmente vincolato dall’esito dell’attività ricognitiva, dunque un atto a contenuto fondamentalmente autorizzatorio, di tipo vincolato. Quindi la pubblica Amministrazione doveva limitarsi a verificare l’esistenza dei requisiti richiesti dalla legge.
L’atto di accreditamento con natura autorizzatoria, finiva con il sovrapporsi, se non addirittura a coincidere, con l’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria. Infatti, i requisiti che l’art. 8 richiedeva per entrambi gli istituti finivano per essere gli stessi, quindi il loro possesso era sufficiente non solo per svolgere l’attività sanitaria ma anche per svolgerla per conto e a carico del SSN.
Per la considerazione fatta al punto precedente, finendo l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività sanitaria e l’accreditamento per coincidere sembrava non essere più necessaria una concessione traslativa di pubblico servizio. Dunque, si sarebbe stati alla presenza di un sistema non più inquadrabile nell’ottica del servizio pubblico in senso soggettivo, dove il titolare del servizio, con atto di concessione, trasferiva in capo ad un determinato soggetto la gestione del servizio ma di un sistema qualificabile come servizio pubblico in senso oggettivo dove un’attività di rilevanza pubblica poteva essere svolta da soggetti qualificati sulla base di un atto sostanzialmente autorizzatorio.
Potendo inserirsi nel sistema tutti coloro che erano in possesso dei requisiti previsti dalla legge, sembrava configurarsi per i soggetti che ne avevano i requisiti un vero e proprio diritto all’accreditamento.


(1) Gazzetta Ufficiale 15.12.1993 N. 293 Suppl. Ord.

sabato 21 marzo 2009

Fine del regime delle convenzioni

La nuova riforma aveva come scopo primario quello di superare la posizione di sussidiarietà rispetto al pubblico in cui il privato era stato di fatto collocato dalla legge n. 833 del 1978 la c.d. "Riforma Sanitaria". L’obiettivo era quello di arrivare ad una situazione in cui struttura pubblica e privata potessero trovarsi su un piano di assoluta parità, poiché entrambe svolgevano un servizio pubblico, quello dell’assistenza sanitaria. In attuazione della legge delega 23 ottobre 1992 n. 421(1) venne emanato il d.lgs 30 dicembre 1992, n. 502 c.d. decreto De Lorenzo(2), il primo importante decreto della riforma sanitaria degli anni 90. Esso, all’art. 8 titolato disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali conteneva norme in materia di autorizzazioni, di vigilanza, di erogatori di prestazioni e di convenzioni con le istituzioni sanitarie private. In merito alle convenzioni, ai sensi del comma 7, i rapporti esistenti dovevano cessare entro un triennio dalla data di entrata in vigore del decreto e doveva provvedersi, allo stesso tempo, all’adozione di tutti i provvedimenti necessari per l’instaurazione di nuovi rapporti. I principi cardine del nuovo sistema del d.lgs n. 502, in merito ai rapporti tra pubblico e privato, sono così sintetizzabili:

· Riconoscimento espresso alle autorizzazioni, necessarie per l’esercizio da parte dei soggetti privati e pubblici, delle attività sanitarie, di una natura vincolata, connessa cioè al riconoscimento in capo alle strutture stesse di specifici requisiti di carattere tecnico. Tali requisiti, quindi, una volta riscontrati, dovevano necessariamente portare al rilascio della autorizzazione stessa, la quale non poteva essere legata agli elementi della programmazione.
· La previsione espressa del fatto che sarebbe stata l’Unità sanitaria locale(3)
ad assicurare ai cittadini l’erogazione delle prestazioni sanitarie, tramite una serie di soggetti espressamente elencati, di cui la nuova azienda Usl si doveva avvalere.
· Il superamento del vecchio regime convenzionale con la previsione dell’instaurazione di nuovi rapporti non ancora compiutamente definiti. Il riconoscimento comunque espresso di un ruolo generale alla pianificazione e alla programmazione, per quanto non espressamente legato alle esigenze dei rapporti tra Amministrazione pubblica titolare del servizio e soggetti privati erogatori.


 
(1) Gazzetta Ufficiale 31.10.1992 N. 257 Suppl. Ord.
(2) Gazzetta Ufficiale 30.12.1992 N. 305 Suppl. Ord.
(3) Ora dotata di personalità giuridica, secondo il disposto dell’art. 3 che la configura come Azienda

SSN, servizio pubblico soggettivo

Con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, la c.d. Riforma Sanitaria, il Servizio Sanitario Nazionale assume la configurazione di servizio pubblico. Il momento fondamentale è dunque quello in cui la pubblica Amministrazione assume su di se il servizio, ritenuto di rilevanza e d’interesse pubblico, in altre parole provvede alla predisposizione e alla conseguente organizzazione dello stesso, che è cosa diversa dalla successiva gestione, che può essere indifferentemente attribuita a soggetti pubblici o privati.
Pertanto, si è alla presenza di un servizio pubblico in senso soggettivo quando si ha la titolarità in capo ad un soggetto pubblico, che decide di assumere fra i propri fini istituzionali il servizio, in quanto ritenuto di rilevanza pubblica, che risulta così essere attuazione della volontà dell’ente stesso, mentre non rileva la natura del gestore del servizio stesso.
E’ quindi possibile che sia un privato a provvedere a tale gestione, purché lo faccia sulla base di un apposito atto di conferimento da parte della pubblica Amministrazione, ovvero sulla base di un effettivo nesso organizzativo, un legame strumentale che inserisce nell’ambito dell’organizzazione pubblica quel soggetto, chiamato a provvedere all’erogazione del servizio. In questo senso il Servizio sanitario diventa effettivamente un servizio pubblico, quando, sulla base delle previsioni di cui all’art. 32 della Costituzione, viene con la legge n. 833 del 1978, istituito il Ssn: infatti, si è in presenza di un compito che la legge, sulla base di una disposizione costituzionale in tal senso, attribuisce allo Stato come proprio. In particolare diventa un servizio pubblico in senso soggettivo quando la stessa legge n. 833 individua una pluralità di soggetti gestori, pubblici e privati, legati al titolare del servizio da uno specifico nesso organizzativo, cioè la convenzione. Si costituisce in questo modo una vera rete integrata di servizi, contraddistinta dal fenomeno dell’esercizio privato di funzioni o servizi pubblici, sulla base di un atto traslativo di conferimento di poteri.
Le convenzioni rappresentano degli accordi – contratti amministrativi di tipo molto diverso tra loro, il cui elemento comune è quello di disciplinare i rapporti organizzativi tra soggetti pubblici e soggetti privati. Il sistema disegnato dalla legge n. 833 presentava forti limiti. Innanzi tutto le Unità sanitarie locali restavano le principali fornitrici dell’assistenza ospedaliera, anche a causa del forte restringimento che i limiti della pianificazione ponevano ai nuovi convenzionamenti, quindi all’ingresso di nuovi operatori. Inoltre le Usl mantenevano una posizione di preminenza essendo allo stesso tempo erogatrici e finanziatrici delle prestazioni sanitarie. La situazione fu ulteriormente aggravata dal d.l. 26 novembre 1981 n. 678(1)
che all’art. 3 prevedeva che le prestazioni sanitarie specialistiche di diagnostica strumentale e di laboratorio, fossero rese dai soggetti convenzionati, esclusivamente nell’ipotesi in cui la Usl non potesse fornirle entro tre giorni dalla richiesta e dietro autorizzazione della stessa. Le strutture private continuavano a trovarsi in una condizione di subordinazione rispetto a quelle pubbliche. In secondo luogo le convenzioni, che nel disegno della legge n. 833 avrebbero dovuto avere durata specifica, legata alla durata degli atti di programmazione, avevano finito per durare un tempo indeterminato. Il sistema aveva subito una cristallizzazione e i convenzionamenti finivano per riguardare sempre gli stessi soggetti.
Il modello disegnato dalla legge n. 833 presto mostrò segni di crisi dovuta sostanzialmente all’ingerenza della politica sulla gestione delle USL con azioni dettate maggiormente dalla ricerca del consenso e non dalla razionalità amministrativa, dalla deresponsabilizzazione finanziaria delle USL e delle Regioni, che non avevano vincoli alla creazione del disavanzo e non ottenne i risultati auspicati in relazione ai rapporti tra pubblico e privato.



(1) Gazetta Ufficiale n. 328 del 28.11.1981

venerdì 20 marzo 2009

Il Servizio Sanitario Nazionale

Alla legge sanitaria 23 dicembre 1978 n. 833, titolata “istituzione del Servizio sanitario nazionale(1), si attribuisce la nascita dell’assistenza sanitaria come vero e proprio servizio pubblico nazionale.
La pubblicizzazione del servizio è espressamente prevista dall’art. 1 comma 1 della legge stessa, ai sensi del quale, la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Ssn. Di conseguenza, l’obbligo in capo all’ordinamento di tutelare un diritto, non solo d’interesse pubblico ma anche costituzionalmente garantito come quello alla salute, organizzato secondo principi espressi e sottoposto a precise regole e controlli, qualifica necessariamente l’organizzazione a ciò predisposta come servizio pubblico ad istituzione necessaria. Tale servizio è ispirato ai principi della globalità delle prestazioni, all’universalità dei destinatari, e dall’uguaglianza del trattamento. Si prevede, infatti, che esso ricomprenda prestazioni di tipo diverso, costituite dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali e sociali e secondo modalità che assicurino l’uguaglianza dei cittadini nei confronti dello stesso.
Quanto alla nazionalità del servizio, la stessa deriva dalla pretesa del legislatore di creare un servizio unitariamente inteso, a livello territoriale, con un’organizzazione uguale per tutte le diverse realtà territoriali. Infatti, diversamente da quanto disposto dalla legge 17 agosto 1974 n. 386 che attribuiva alla Regione la titolarità del Servizio sanitario, la nuova legge da un lato riconosce tale funzione in capo alla Repubblica, che ha il compito di tutelare la salute, dall’altro individua il soggetto titolare del servizio nell’Unità sanitaria locale che racchiude in se il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni, singoli e delle Comunità montane, che in un ambito territoriale determinato assolvono i compiti del Ssn. Tali organismi sono dunque qualificati come articolazioni dei Comuni e inseriti nelle organizzazioni degli stessi, pur essendo privi di personalità giuridica. L’Usl, oltre ad essere titolare del Ssn, è anche uno dei gestori di tale servizio, anzi è il principale dei soggetti erogatori. Infatti, ai sensi dell’art. 19, sono le Usl che provvedono ad erogare le prestazioni di prevenzione, di cura, di riabilitazione e di medicina legale, assicurando a tutta la popolazione i livelli minimi di prestazioni sanitarie stabilite dalla legge. Ai sensi dell’art. 25, alle Unità sanitarie locali non spetta però in via esclusiva l’erogazione delle prestazioni sanitarie, alla quale provvedono concretamente una serie di soggetti diversi, cioè presidi delle USL, Ospedali pubblici e soggetti convenzionati.(2)

La legge, quindi, prevede che il Ssn, al fine di raggiungere gli obiettivi che si prefigge, utilizzi accanto alla Usl altri soggetti che saranno chiamati ad erogare le prestazioni sanitarie, in ossequio a quei principi di pluralismo e di libertà d’iniziativa economica privata già affermati dalla legge n. 132. E’ anche vero, però, che l’Usl mantiene in ogni caso, all’interno dei diversi erogatori, una posizione di necessarietà e di preminenza, da cui discende una sua qualificazione come gestore necessario e primario rispetto agli altri soggetti che eventualmente si trovino ad erogare prestazioni sanitarie.


(1) Gazzetta Ufficiale 28.12.1978 n. 360 Suppl. Ord.
(2) In particolare l’assistenza medica specialistica è prestata presso gli ambulatori dell’Usl o presso quelli convenzionati; le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio si hanno presso le strutture delle Usl o presso le strutture convenzionate; l’assistenza ospedaliera è prestata di norma attraverso gli Ospedali pubblici o presso gli altri Istituti convenzionati.

Titolarità del servizio sanitario


La legge 17 agosto 1974, n. 386(1) introdusse significativi elementi di novità, tra questi l’affidamento della titolarità dell’erogazione delle prestazioni sanitarie al neonato Ente “Regione” che a tal fine si avvaleva, sia degli Enti ospedalieri, sia degli altri soggetti pubblici e privati che erano abilitati all’esercizio di un’attività ospedaliera.
Si ribadì in altre parole l’esistenza di un regime misto nel quale la preferenza era accordata agli Enti ospedalieri mentre gli altri soggetti, se volevano entrare a far parte del sistema, dovevano farlo sulla base di strumenti di tipo pattizio convenzionale da stipulare con le Regioni. Si trattava in ogni caso di un passo importante verso la legge n. 833 che dopo pochi anni sarebbe stata emanata. Infatti, non solo si riconobbe nuovamente il valore e l’esistenza della sanità convenzionata ma anche si previde che le convenzioni con i soggetti privati e pubblici, diversi dagli Enti ospedalieri, fossero stipulate direttamente dal titolare del servizio in un’ottica dunque di Servizio sanitario organizzato e qualificato come Servizio sanitario in senso soggettivo, dove la convenzione, diversamente da quanto disposto dalla legge n. 132, cominciava a rappresentare il nesso organizzativo che legava il soggetto titolare al soggetto gestore – erogatore.

 
(1) Gazzetta Ufficiale 29.08.1974 n. 225

giovedì 19 marzo 2009

L'assistenza pubblica e i privati

La legge 12 febbraio 1968 n. 132, c.d. “legge Mariotti”(1) all’art. 1 previde espressamente che l’assistenza ospedaliera pubblica fosse svolta a favore di tutti i cittadini da parte degli Enti ospedalieri. A tali Enti ospedalieri, persone giuridiche pubbliche, furono ricondotti un’ampia serie di soggetti(2), inoltre furono costituiti in Enti ospedalieri tutti gli Ospedali appartenenti ad Enti pubblici che avevano come scopo, oltre all’assistenza ospedaliera, anche finalità diverse(3). Allo stesso tempo, all’art. 2 comma 3 dispose nel senso che le cure dovevano essere prestate indiscriminatamente e gratuitamente a tutti quelli che ne avessero bisogno, quindi non solo agli indigenti, rendendo in questo modo l’assistenza ospedaliera obbligatoria e gratuita per chiunque ne avesse necessità.
Lo stesso art. 1 dopo aver affermato che l’assistenza ospedaliera pubblica era svolta a favore di tutti i cittadini - italiani e stranieri - esclusivamente dagli Enti ospedalieri, introducendo dunque un concetto di Servizio sanitario come servizio pubblico svolto esclusivamente da soggetti pubblici, individuava in realtà e quindi riconosceva in maniera implicita, l’esistenza di una serie d’altri soggetti che a vario titolo potevano svolgere l’assistenza ospedaliera(4).

Si trattava di ospedali psichiatrici, Istituti di cura per malattie mentali, Istituti di cura e ricovero riconosciuti a carattere scientifico, case di cura private, Cliniche e Istituti universitari di ricovero e cura. Con l’individuazione di queste diverse categorie di Enti, chiamati a svolgere l’assistenza ospedaliera, si dava vita ad una forma di pluralismo organizzativo riconducibile a due tipologie. Quella pubblica, rappresentata da Enti ospedalieri, Ospedali psichiatrici, Istituti di ricovero e cura e quella privata con le Case di cura e le Fondazioni.

Si rendevano dunque operanti in tal modo i principi derivanti dalle previsioni di cui all’art. 32 della Costituzione per cui il cittadino è titolare di un diritto alla salute ed è la Repubblica che deve garantire l’effettivo esercizio e l’effettiva tutela di quel diritto, pur nella compresenza di soggetti pubblici e privati. I soggetti privati, in specifico le Case di cura private, in quanto rientranti nel sistema dell’organizzazione sanitaria pubblica, che in quel momento stava nascendo, erano espressamente sottoposti alla vigilanza del Ministero della sanità.

Tali soggetti per poter operare nel sistema sanitario necessitavano di appositi atti, autorizzatori e convenzionali.

  1. Le autorizzazioni per l’apertura, l’ampliamento o la trasformazione, secondo il disposto dell’art. 52, erano rilasciate dal medico provinciale, sentito il Consiglio provinciale di sanità.
  2. Le convenzioni erano specificatamente contemplate all’art. 53 per legare le Case di cura private con gli Enti mutualistici ed assicurativi per il ricovero dei propri iscritti e erano sottoposte all’approvazione del medico provinciale il quale doveva valutare che la Casa di cura privata possedesse i requisiti igienico – sanitari necessari per poter assicurare un’adeguata assistenza sanitaria e doveva tenere presente l’interesse pubblico e quanto stabilito a livello di programmazione.

Tali convenzioni, quindi, oltre ad un contenuto di accertamento tecnico, assumevano una valenza in qualche modo discrezionale con riguardo alle valutazioni che il medico provinciale doveva svolgere in relazione all’interesse pubblico e a quanto stabilito in sede di programmazione. Dunque, mentre le autorizzazioni rappresentavano un mezzo d’inserimento di nuovi soggetti nell’organizzazione sanitaria pubblica, lo stesso non poteva dirsi espressamente per le convenzioni.

Queste ultime, infatti, venivano sottoscritte tra Enti mutualistici e soggetti privati che svolgevano un servizio per loro conto, quindi, non legavano la Usl, titolare del servizio sanitario, e gli Enti gestori in un rapporto in cui i secondi agivano in nome e per conto del primo. Le convenzioni, in sostanza, finivano per assumere non tanto la natura di concessioni di servizio pubblico, quanto la valenza di controllo sulle Case di cura stesse.


(1)  Gazzetta Ufficiale n. 68 del 12.03.1968
(2) Enti pubblici che provvedono al ricovero e alla cura degli infermi, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e gli altri Enti pubblici che, al momento dell’entrata in vigore della legge, provvedessero al ricovero e alla cura degli infermi.
(3) Gli ospedali prima di questa disciplina erano i maggior parte dipendenti dalle Ipab o da Enti pubblici diversi come: Comuni, Province, Enti mutualistici.
(4) A. PIZZI Le strutture sanitarie convenzionate, in Unità sanitarie e Istituzioni, a cura di F. MERUSI, Bologna, il Mulino, 1982, pagg. 144 e segg.

La tutela della salute, art. 32 Cost.

Un primo riconoscimento di una concezione più ampia di sanità è attuato dall’art. 32 della Costituzione il quale recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.(1) ovvero di un diritto che si inquadra nel disegno costituzionale di promozione del benessere e dello sviluppo della persona umana.

In un primo senso il diritto alla salute è un diritto soggettivo a non subire lesioni della propria integrità psico – fisica, inteso come stato di benessere complessivo della persona. In questo contesto, il diritto alla salute è riconoscibile nei rapporti pubblicistici come diritto di libertà individuale, cioè come divieto di ingerenza sullo stato psico – fisico dei singoli da parte dei pubblici poteri.
In un secondo senso il diritto alla salute richiede per la propria tutela un intervento da parte dei pubblici poteri che devono necessariamente intervenire, in maniera diretta o indiretta, non potendosi disinteressare della tutela dello stesso, come in parte era avvenuto in passato. Si è dunque alla presenza di un vero e proprio diritto sociale
La qualificazione del diritto alla salute come diritto sociale discende dunque dall’individuazione dello stesso come diritto fondamentale degli utenti, della cui tutela si deve occupare la Repubblica, in altre parole l’insieme composito dei soggetti pubblici.
Il costituente, delineando i compiti della Repubblica nel campo della sanità come vere e proprie funzioni pubbliche, ha creato lo Stato sociale di diritto(2), in cui è lo Stato che assume in capo a se stesso una serie di compiti e di funzioni che non attengono più semplicemente a servizi di tipo economico ma anche ad altri settori.
Dalla previsione di cui all’art. 32 della Costituzione, oltre a derivare il riconoscimento della salute come diritto soggettivo pubblico, si traggono anche due principi ulteriori.
In primo luogo che la tutela della salute non può essere affidata solo alle dinamiche privatistiche, quindi, come era parso avvenire sino a quel momento all’iniziativa dei privati. In secondo luogo che si ha una compresenza nel sistema sanitario delle due iniziative, sia quella pubblica che quella privata. Infatti, con le prescrizioni di cui all’art. 32 della Costituzione, il legislatore costituzionale, pur obbligando i pubblici poteri a farsi carico di un diritto costituzionalmente protetto quale quello alla salute, non ha voluto conferire in via esclusiva e monopolistica agli apparati pubblici la gestione dei servizi sanitari. Si deve ritenere quindi che abbia voluto consentire anche ad operatori privati la possibilità di intervenire nella gestione del servizio sanitario che si delinea, quindi, come un servizio a costituzione necessaria ma caratterizzato dalla compresenza di soggetti pubblici e privati.


(1) Cfr. G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, pag. 768.
(2) R. FERRARA, voce (Diritto alla salute), in Digesto disc. pubbl. Vol XIII, Torino, Utet, 1997, pag. 520


L'evoluzione del concetto di sanità

I concetti di salute e sanità, come li intendiamo oggi, sono una creazione abbastanza recente, frutto di un lungo percorso di conquiste politiche e sociali.
Solo nella seconda metà del 1800 si assiste alla nascita delle IPAB, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, che possono essere considerate il primo intervento da parte dello Stato in materia di assistenza sanitaria.
Tali istituzioni, generate dalle antiche opere pie, perseguivano fini assistenziali in generale, funzionavano per semplice riconoscimento d'esistenza da parte dello Stato e utilizzavano modelli organizzativi e ordinamenti particolari normalmente scollegati tra loro(1).
Il primo tentativo di organizzazione amministrativa della sanità a livello statale si ebbe con la legge 22 marzo 1865 n. 2224 che incardinava l'organizzazione sanitaria nel Ministero dell'Interno. Tale collocazione può apparire inadeguata ma è assolutamente coerentemente alla visione dell'epoca che considerava la salute come un problema di ordine pubblico, ovvero come la necessità di lotta alle malattie, ai fenomeni morbosi ed infettivi, pericolosi per 1'incolumità pubblica. Il Ministero dell’Interno esercitava le proprie funzioni in materia sanitaria attraverso la propria struttura gerarchica, quindi i Prefetti, i Sottoprefetti ed i Sindaci.
Il concetto di servizio sanitario pubblico erogato dallo Stato, anche se diverso da quello che conosciamo oggi, nasce grazie ad un Regio Decreto; il "Testo unico delle Leggi Sanitarie" del 1934. Prima di allora tutto era lasciato all'iniziativa privata e la malattia costituiva un dramma che riguardava il singolo individuo, con conseguenze molto diverse secondo il censo.
Con il Testo unico delle Leggi Sanitarie si stabilisce il principio, mai affermato in precedenza, che curare è un dovere dello Stato ed essere curato è un diritto del cittadino. L'amministrazione pubblica però si limitava ad occuparsi della tutela della salute del singolo non in quanto tale ma in situazioni particolari, in altre parole con riguardo ad alcune fattispecie riguardanti i bisognosi, gli indigenti o alla profilassi nell'ambito delle malattie infettive.
In quegli anni nascevano organismi sostanzialmente assicurativi che erogavano prestazioni sanitarie ma solo agli iscritti, le c.d. Mutue.
Si era in presenza di assicurazioni obbligatorie i cui contributi erano versati in parte dal datore di lavoro ed in parte dal lavoratore assicurando l'assistenza nei confronti dei soli lavoratori iscritti agli Enti assicuratori(2).
Il sistema degli Enti mutualistici manifestò presto forti limiti perchè i trattamenti sanitari garantiti erano diversi da ente ad ente e perchè si creavano rapporti molto complessi tra i vari Enti assicurativi e gli operatori professionali della sanità.


(1) G. PASERO, P.A. RAVAZZI, Per un sistema sanitario centrato sulla persona. La riforma Bindi e la sua applicazione nella regione Piemonte, 2006, Franco Angeli, pag. 53(2) Tra i principali Enti mutualistici, sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro, si avevano l'Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (Inail) istituito con r.d. 6 luglio 1933 n. 1033 e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) istituito con r.d. 4 ottobre 1935 n. 1825.